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samedi 17 décembre 2011

2012 – Anno intergenerazionale

Le tre domande che aspettano una risposta sono:
1)     Di che cosa si tratta?
2)     Come si vive il rapporto intergenerazionale? Esiste un “problema”?
3)     Vi è qualche cosa da cambiare in proposito, all’interna della società (occidentale)?

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1.
Di che cosa si tratta? Il 2012 è stato proclamato Anno europeo dell'invecchiamento attivo e della solidarietà tra le generazioni, come risulta da numerose pubblicazioni, alcune delle quali riportate nei due documenti allegati, uno europeo, l’altro svizzero (2012 – anno intergenerazionale UE.doc + 2012anno intergenerazionale, Svizzera.doc)[1].
Dai contenuti di tale documentazione appare ovvio che la tematica proposta all’attenzione del pubblico verte innanzitutto sui rapporti sociali ed interpersonali con i cosiddetti anziani, più precisamente con gli anziani fisicamente autosufficienti (in contrapposizione a quelli bisognosi di cure, più o meno continuative, di tipo medico, psicologico o paramedico). Di conseguenza le considerazioni che seguono, scritte da un 75enne, si riferiscono esclusivamente agli anziani (ancora?!) sani di corpo e di mente…

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2.
La problematica intergenerazionale – Non tutti gli anziani fisicamente autosufficienti godono anche di un’autonomia economica tale da metterli in condizione di non dover dipendere dall’aiuto di terzi (familiari o istituzioni). Pertanto, parlando di anziani, andrebbe fatta un’ulteriore distinzione fra quelli economicamente autosufficienti e quelli non (completamente) in grado di auto-sostenersi.
Purtroppo la documentazione “istituzionale” (oggetto dei due allegati, a livello europeo e svizzero) prescinde completamente da questo aspetto… Apparentemente è una scelta dei promotori che, evidentemente, intendono concentrare l’attenzione sugli anziani non condizionati da difficoltà economiche. Tuttavia, per semplice rispetto nei confronti dei meno abbienti (per usare un eufemismo), è bene almeno ricordare che esistono[2].
Come si vive il rapporto intergenerazionale? Nel corso degli ultimi mesi (2010-2011), ho avvicinato parecchie persone che non conoscevo prima, anche anziani, perché credo nella forza dei rapporti umani che nascono spontaneamente. Non mi piace la società ingessata, a compartimenti stagni, come quella dei nostri tempi; mi pare che la comunicazione diretta fra comuni mortali sia l’unica via per giungere ad una realtà più viva, più “dinamica”, a vasi comunicanti. Pertanto le considerazioni che seguono sono basate prevalentemente sull’osservazione dei fatti, in particolare sui miei recenti contatti con altre persone[3].
Forse il denominatore comune a molte zone dell’Europa (Canton Ticino, Svizzera, Italia centro settentrionale) è la spaccatura esistente fra il mondo dei vecchi (in età di pensione) e quello dei giovani (30-50enni, tralasciando i giovanissimi per non complicare il discorso).
Tento una descrizione un po’ caricaturale. I vecchi sono come sospesi nel vuoto, guardano; i giovani sono intrappolati nel reticolato degli infiniti impegni quotidiani. E’ una spaccatura di tipo mentale nel senso che la mente dei giovani è completamente assorbita dalle contingenze ed incombenze di ogni giorno, mentre quella dei vecchi è costantemente in attesa di qualche cosa. Detto così sembra un’evidenza, “è un fatto generazionale”, dirà il solito saputello, “è sempre stato così”… Invece no, nella società patriarcale, di stampo contadino, prevalente fino a sessanta anni fa, entrambe i nuclei (vecchi e giovani) erano tutt’uno, vivevano sotto lo stesso tetto, ognuno con il proprio compito operativo.
Dovendo azzardare una metafora, direi che il rapporto intergenerazionale mi fa venire in mente l’acquario di casa, con alcuni organismi immobili (lumache d’acqua, conchiglie?), aggrappati al vetro, oppure sospesi, mentre tutti i pesciolini sono in continuo movimento, avanti indietro, in modo un po’ spasmodico.
Ovviamente gli organismi immobili sono gli anziani, i pesciolini in continuo movimento sono i giovani (di solito con famiglia). Ora, questi due gruppi come vivono il loro reciproco rapporto? …. Ma esiste davvero un rapporto? Nella stragrande maggioranza dei casi sì, il che non vuol dire che sia buono, semplicemente esiste per il solo fatto che, statisticamente, quasi tutti gli anziani hanno discendenti, generalmente diretti. Certo, può succedere che il rapporto sia solo nominale, inattivo o disattivato.
Sto pensando a quattro casi di anziani, relativamente benestanti, del Mendrisiotto: un anziano musicista, temo ormai deceduto, che aveva quattro figli che non vedeva mai. Un altro, ex-bancario morto un anno fa, anche lui con quattro figli ma era rimasto in relazione con una sola figlia. Una signora con un solo figlio che da un giorno all’altro ha tagliato i ponti con la madre. Un’altra signora che non incontra quasi mai l’unica figlia. Situazioni spiacevoli, ma probabilmente sarebbe del tutto sterile cercarne le cause. Ogni caso è diverso dall’altro, peraltro non rientra sicuramente nelle finalità del progetto europeo anno 2012.
Importante piuttosto, anche agli effetti del progetto europeo, domandarsi quali sono i fattori soggettivi che influenzano l’andamento dei rapporti fra nonni e figli adulti (di solito con prole), nel bene o nel male. Forse conviene rifarsi all’immagine dell’anziano sospeso, in attesa che succeda qualche cosa. Ricordo mio padre che, quando noi figli uscivamo per andare a sciare, raccomandava: “non tornate dopo le cinque” (non capendo che le giornate di sci finiscono proprio a quell’ora e che poi ci vuole il tempo necessario per tornare in macchina); più vicino nei miei ricordi mi è sempre rimasta impressa anche la frase di una nonna, al termine di un pranzo alla vigilia delle nozze dell’unico nipote (con il quale conviveva); alla domanda su cosa era previsto per il dopo cena rispose:  “adesso aspettiamo di sentire cosa decide Luca (il nipote che non era presente al pranzo della vigilia)”. Esempio abbastanza emblematico di come alcuni anziani, perfettamente autosufficienti, tendono a muoversi in funzione di cosa fa o non fa il figlio, rinunciando, in un certo senso, per affetto ma forse anche per pigrizia mentale, a parte della loro autonomia decisionale…. con il rischio di accelerare il proprio processo di invecchiamento.
Secondo l’antica tradizione che impone ai figli adulti di rispettare in modo incondizionato i genitori, aiutandoli all’occorrenza, dovrebbe competere sempre alla generazione dei 30-50enni il fare il primo passo, venendo incontro alle necessità degli anziani familiari, eventualmente assecondandone addirittura i possibili capricci. Credo però che noi, ultra-60enni ancora sani di corpo e di mente, dobbiamo almeno prendere atto del vero e proprio sconvolgimento sociale avvenuto in Occidente negli ultimi 50 anni, anche nella tranquilla Svizzera. A prima vista, può sembrare che non sia cambiato più di tanto, perlomeno nelle cittadine elvetiche: incontri di famiglia in tutte le feste comandate, passeggiate insieme ogni fine settimana, figli che studiano (anche soggiorni linguistici all’estero), fedeli che vanno a messa la domenica (seppure sempre meno!), recite dei bambini a fine anno scolastico oppure a Natale, uscite dei genitori la sera con la babysitter che tiene i figli, papà che accompagna la figlioletta a giocare a tennis o a scuola di ballo, chiacchiericci sulle ultime partite (dell’Ambri-Piotta piuttosto che del Milan), sulle ultime o prossime elezioni… Ma a parte che tutto ciò è la fotografia di una classe medio-alta che certamente non ha più la sicurezza del proprio futuro economico-professionale come l’avevamo noi[4], il cambiamento gigantesco rispetto a 50 anni fa è di tipo logistico: spostamenti infiniti per andare e tornare dal lavoro, donne che lavorano tutte (e faccio solo due esempi)…. per cui la vita dei “giovani” 30-50enni è diventata talmente complicata che certamente non possiamo, noi della generazione precedente, complicarla ulteriormente scaricando su di loro i nostri problemi[5]
Insomma, siamo noi anziani a doverci prendere in mano (perlomeno quelli fra noi che riescono a far fronte alle proprie necessità dal lato economico)… senza aspettare la manna dal cielo (le istituzioni) e senza condizionare le successive generazioni.
Ultimo breve commento in relazione alla domanda “come si vive il rapporto intergenerazionale?”. Ho accennato alla dimensione famigliare o comunque privata. Ma esiste anche quella professionale, e cioè: cosa succede negli ambienti di lavoro fra “giovani” e anziani lavoratori, over60, costretti a rimanere attivi per effetto del continuo rialzo dell’età pensionabile[6]. Capitolo a sé, che rientra piuttosto nella logica del successivo punto 3.
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3.
C’è qualche cosa da cambiare al rapporto intergenerazionale? All’interno della documentazione europea, all’indirizzo http://ec.europa.eu/social/main.jsp?catId=89&langId=it&newsId=860, si può leggere che “il 6 settembre 2010, la Commissione europea ha proposto di chiamare l’anno 2012 «Anno europeo dell'invecchiamento attivo e della solidarietà tra le generazioni». Tale iniziativa mira a migliorare le opportunità d’impiego (emploi, job) e le condizioni di lavoro delle persone anziane, sempre più numerose in Europa, in modo da aiutarle a svolgere un ruolo attivo nella società……”. Belle parole che condivido in pieno ma che, stando alla realtà dei fatti, lasciano un po’ l’amaro in bocca.
3.1 Aspetto lavoro
Dalla semplice osservazione appare abbastanza chiaramente che non vi sono molti datori di lavoro disposti ad assumere dipendenti ultracinquantenni (in realtà, nel miglior dei casi la soglia critica per le probabilità di assunzione si colloca, e non certo solo da oggi, attorno ai 40 anni). Ogni regola ha le sue eccezioni ma personalmente, ne ho conosciuto una sola, in modo del tutto del casuale, su tutto l’arco del 2011. Si trattava di un ultrasessantenne, assunto ad un posto dirigenziale nell’area di Zurigo da una società del settore cucine componibili, grazie alla sua esperienza pregressa. Esperienza, parola carica di speranze… spesso deluse per il personale impiegatizio[7]; esperienza che il più delle volte soccombe di fronte all’antagonista di sempre, cioè la mancata dimestichezza con le ultime tecnologie, alla quale l’impresa dà moltissimo peso. Proprio ora, mentre sto scrivendo, mia moglie sta preparando i dolci natalizi con un’aiutante improvvisata, una cinquantenne ex-segretaria plurilingue, con provata esperienza, che cerca lavoro da quasi tre anni. A questo proposito, mi torna in mente un’altra circostanza. Circa un anno e mezzo fa, durante un incontro con gli amici del mio gruppo[8], stavamo parlando degli over50 che fanno fatica a reinserirsi sul mercato del lavoro; accennai allora all’idea di contattare qualche industria del posto, magari per uno scambio d’idee sull’eventuale reinserimento in attività in proprio per i dipendenti in esubero… Non ebbi neanche la possibilità di formulare il concetto. Una partecipante del gruppo, ex-imprenditrice, tagliò corto: “ma cosa vuoi che c’entrino le imprese…”, sentenziò perentoriamente!
In realtà, solo le imprese possono “fare qualche cosa”, non certo lo “Stato” il cui ruolo non è di improvvisarsi datore di lavoro con la creazione di posti di lavoro a finalità “sociale”, che comportano poi notevoli costi per la collettività. Perché mi dilungo sull’argomento? Forse perché potrebbe rientrare nella vocazione di un’istituzione riconosciuta, come la Fondazione Pro Senectute, appoggiare, non con soldi ma con l’avallo del proprio sostegno morale, un’ipotetica iniziativa privata diretta a creare una sinergia con gli ambienti imprenditoriali per il recupero degli over50 che perdono il lavoro.
Sicuramente esiste anche l’ostacolo della mentalità che non facilita l’intento, sopra richiamato, della Commissione europea diretto “a migliorare le opportunità d’impiego e le condizioni di lavoro delle persone anziane”. Quanti sono i neo-pensionati seriamente interessati a rimanere nel mondo del lavoro, seppure a tempo parziale oppure saltuariamente? Quanti hanno l’ambizione di valorizzare le proprie doti, professionali o manuali, in età avanzata? Ognuno si farà un’opinione in base al proprio vissuto, ai contatti avuti con altri… A me viene in mente un solo esempio positivo al riguardo. Un idraulico in età di prepensionamento che, l’inverno scorso, mi parlava di un suo progetto di cambiare completamente strada, prestando forze ed opera in Africa.
Volendo essere ottimisti, dando per scontato che molti anziani vogliono rimanere attivi oppure sono disponibili per adoperarsi magari in ambito umanitario, il primo passo da compiere è riuscire a scovarli! Serve un apposito strumento tutto da inventarsi, cosa però del tutto fattibile, meglio con il sostegno, morale e di simpatia, di un’istituzione conosciuta (Pro Senectute?).
3.2 Aspetto tempo libero
Lasciando ora da parte l’aspetto lavoro, domandiamoci che cosa serve davvero agli anziani, cosa cercano? Fondamentalmente occasioni di passatempo (parola che ho sentita tante volte). Sulla carta sembra tutto perfetto. Nel Canton Ticino, esiste un’infinità di gruppi, di iniziative per il tempo libero (non necessariamente creati per gli anziani ma accessibili anche a loro). I quotidiani (che sono molti rispetto alla dimensione del territorio) e le pubblicazioni settimanali (due per il solo Mendrisiotto) danno parecchio spazio agli annunci di incontri, conferenze, eventi vari.
Eppure quando è stata lanciata l’anno scorso l’idea del Club over60, ribattezzato successivamente Giovani di Spirito, le telefonate di potenziali interessati/e sono state davvero tante …. ma quasi tutte da single, vedovi/e o separati/e, che speravano di trovare il compagno o la compagna, per poi sparire dalla circolazione una volta raggiunto l’obiettivo. E’ risultato praticamente impossibile rispondere con proposte concrete al (latente?) bisogno di “socializzare”, a causa dell’estrema eterogeneità socio-culturale del gruppo e forse della quasi totale assenza di particolari interessi di molti partecipanti. Qualche esempio: nessuno si è iscritto ad una gita di una giornata appositamente organizzata per il gruppo in Val Verzasca. Per un certo periodo di tempo, gli incontri si sono svolti presso un pubblico esercizio dotato di bocciodromo: ebbene una sola volta alcuni hanno giocato a bocce! Nel febbraio 2011 ad un workshop d’informatica organizzato nell’ambito della Pro Senectute a Lugano, si sono presentati solo 3 dei “nostri” (oltre al sottoscritto e il co-organizzatore). E questi sono solo alcuni esempi di mancata recettività.
Ai primi di novembre 2011, avendo saputo dell’esistenza del Gruppo Anziani Genestrerio, ho chiamato   la responsabile, signora Paola Conconi, per sentire come funzionava. Risposta: “per un po’ siamo andati avanti ma la partecipazione è sempre stata scarsa, alcune proposte specifiche (visita di musei) hanno riscontrato pochissimo interesse. Oggi il Gruppo praticamente non esiste più, comunque i partecipanti erano molto anziani”. Pochi mesi prima avevo avuto contatti con il signor Pierfranco Pagani, che si occupa del Circolo degli anziani di Pregassona, una bellissima iniziativa con una vera e propria struttura, un sito internet. Il Circolo esiste da parecchi anni… però sono persone molte anziane, così mi disse un nostro “socio over60” che ha partecipato ad un loro pranzo. Lo stesso discorso (persone troppo anziane) l’ho anche sentito dire per il Centro anziani di Vacallo e addirittura per i gruppi dell’ATTE, associazione ticinese terza età. Un’altra critica molto ricorrente nei confronti dei vari gruppi per anziani è stata: “Dappertutto fanno la tombola; a me, giocare a tombola non piace…”.
3.3 Prima conclusione
Dopo averne parlato con altri, mi pare che l’insegnamento che si può trarre dall’osservazioni dei fatti sia questo: Gli over60 disposti a socializzare (nel senso che non si accontentano della relazione 1:1 solo fra due individui) dovrebbero poter entrare in gruppi composti di persone unite da comuni affinità o interessi, a prescindere dall’età. Ciò sarebbe sicuramente consono con il concetto stesso di intergenerazionale, parola che presuppone l’esistenza di un rapporto (fra le generazioni, appunto), non certo l’isolamento o l’auto-isolamento degli anziani in comparti separati.

Ma naturalmente fra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.
3.4 Cosa si può, si dovrebbe fare – Come procedere? - A chi tocca?
Le associazioni già esistenti sono numerosissime sia nel Canton Ticino che nelle zone limitrofe della vicina Italia. E’ relativamente facile reperirle (di solito attraverso gli spazi web dei vari Comuni) e capire cosa fanno. La maggior parte di esse hanno uno scopo che implica di per sé la socialità. Quindi è probabile che la persona in possesso di un collegamento internet che cerca amici, ad esempio per giocare a scacchi piuttosto che a bridge, riesca a trovare nelle sue vicinanze qualche club o circolo che punta su questo tipo di attività…. Lo so, le cose non funzionano così, fra gli anziani molti non hanno un collegamento internet, fra i giovani dilaga ormai la smania dei giochi via internet, non cercano necessariamente la compagnia di persone in carne ed ossa. Ma, soprattutto, anche fra le persone molto estroverse, vi è una forma di remora psicologica, nessuno vuol fare il primo passo, nessuno vuol far vedere di aver bisogno dell’altro. Parlo un po’ per esperienza personale. Come ho detto in precedenza, ho avuto l’anno scorso molte telefonate di gente che aveva letto l’annuncio sul Club amici over60. Mi arrivava la chiamata ma tante volte era come se dall’altra parte non ci fosse nessuno… oppure si sentiva un “pronto”, quasi con l’angoscia nella voce. Certo, si può immaginare che chi si rivolge ad un ente o ad un circolo con uno scopo ben preciso (gioco del bridge o degli scacchi) si senta meno a disagio…. Però, rimane il fatto che sono tante le persone non abituate (o disabituate trattandosi di pensionati) a prendere il telefono o a farsi avanti in un altro modo.
Pertanto, per poter coinvolgere su ampia scala gli anziani in attività sociali, nello spirito dell’operazione “anno intergenerazionale 2012”, ci vuole un vero e proprio meccanismo che serva da spinta.
A tal fine, i promotori di operazioni culturali o simili, comunque non a scopo di lucro, privilegiano in genere la formula degli eventi, che si concretizza il più delle volte in una serie di incontri, conferenze, mostre e altri workshop, ecc., insomma in un susseguirsi di manifestazioni, spesso fine a se stesse, comunque guidate, telecomandate dagli organizzatori …. però senza che fra gli stessi partecipanti possa mai nascere quella dinamica di contatti diretti, in grado di durare nel tempo (come invece succede in una classe di liceali che continuano a vedersi al termine degli studi, al limite per tutta la vita). Così, la formula degli eventi in sequenza ben difficilmente consente di raggiungere lo scopo vero dell’operazione “anno intergenerazionale 2012”: ottenere cioè che gli anziani si relazionino a vicenda, anche con persone delle generazioni successive, rimanendo quindi attivi, almeno in parte.
In Italia, alcuni gruppi per anziani tentano addirittura di attuare veri e propri corsi (quasi sempre di computer), quindi cicli formativi con una certa continuità nel tempo, ma probabilmente senza domandarsi se, al termine, gli “allievi” manterranno i contatti fra di loro (ammesso e certamente non concesso che abbiano la pazienza di completare il corso fino in fondo…).
Si tratta perciò di inventarsi altre vie per raggiungere lo scopo della socialità e per rafforzare le relazioni fra le generazioni.
Personalmente ritengo che l’approccio da seguire sia questo: individuare per ogni territorio (Bellinzona, Locarno, Lugano, Mendrisiotto) una persona di età compresa fra i 50 e 60 anni, quindi anagraficamente a metà strada fra i “giovani” e i “vecchi”, magari un ex-dipendente appoggiato dal suo ultimo datore di lavoro, ma comunque qualcuno che conosca anche la realtà economica (non dimentichiamo che l’iniziativa Anno Intergenerazionale 2012 mira non solo alla cultura e al tempo libero ma anche “a migliorare le condizioni di lavoro delle persone anziane”). Tale persona servirebbe da punto di riferimento sul suo territorio per le tante iniziative, anche a sfondo imprenditoriale, che possono interessare gli anziani ma non solo, ad esempio: gite di fine settimana in comitiva (con pulmino, non con macchine private); creazione di una rete di ritrovi presso pubblici esercizi convenzionati; importazione diretta di prodotti come libri, dolci con successiva consegna ai “soci” e alle case per anziani; selezione di artigiani della zona disponibili per eseguire lavoretti in casa; aiuto all’uso dei moderni mezzi di comunicazione; selezione di palestre con offerta per anziani; scambi di servizi fra vicini (per occuparsi degli animali di casa e/o delle piante in caso di assenza); avviamento di trattative con proprietari di terreni (non necessariamente dei Comuni) per individuare zone idonee per l’impianto di orticelli per pensionati… Insomma tutto un programma, ovviamente con il supporto di un apposito spazio web per ogni zona geografica, e la possibilità di inserimento di annunci per chi cerca partner (per giocare a bridge piuttosto che a scacchi, tanto per rifarmi all’esempio di prima)…. ma, attenzione, puntando sempre sulla finalità di contatti fra persone in carne ed ossa (approccio quindi ben diverso dai blog e social network che hanno stufato parecchia gente… non solo anziana).
Mi rendo conto che la prima reazione di chi avrà letto l’elenco (forse un po’ disordinato) che precede potrà essere questa: ma i soldi per tutto ciò chi li tira fuori? Domanda sbagliata! La tendenza, purtroppo troppo diffusa di fronte ad ogni proposta fuori dagli schemi, è spesso quella di voler mettere il carro davanti ai buoi. Trattandosi del terzo settore, il problema grosso è quello di reperire le persone giuste, disposte cioè a darsi da fare, quindi le risorse umane prima ancora di quelle finanziarie, che poi si trovano se vi è la fiducia.
Aspetto collaterale: sarebbe del tutto sbagliato pensare che i suddetti coordinatori (punti di riferimento), fondamentali per il successo dell’operazione, debbano lavorare gratuitamente… Le possibili formule di retribuzione sono tante (non è certo il caso di entrare nel merito a questo livello), ma bisogna togliersi dalla testa innanzitutto le false “ricette”, tipo banche del tempo (tantissime a Milano, in Ticino c’è “scambi di favore”) o ancora “Innovage” (chi ha orecchie per intendere capirà), ma anche la manna che cade dal cielo (lo “Stato” à già troppo sollecitato).
Il primo passo? Premesso che niente potrà succedere fin tanto che non saranno disponibili i suddetti quattro coordinatori di zona, perché lo sponsor ideale (Pro Senectute) non prova a contattare l’aiti, Associazione Industrie Ticinesi?

scritto da Max Ramstein, Mendrisio, ideatore del Club Giovani di Spirito



[1] particolarmente significativi i passaggi su fondo giallo a pagine 2 e 3 del documento europeo
[2] anche se il “problema” è sicuramente più acuto nei Paesi europei privi di un meccanismo equivalente a quello svizzero delle prestazioni complementari
[3] prevalentemente del Mendrisiotto
[4] l’attuale economia è terziarizzata con saturazione dei bisogni (anche se nessuno osa pronunciare la parola)
[5] …anche perché siamo stati noi all’origine dell’attuale società, con tutte sue storture, volendo ed alimentando la spirale dei consumi
[6] più un problema UE che non CH, pensiamo soprattutto ai lavori logoranti, alienanti…
[7] un paio di anni fa, la questione è stata affrontata al telegiornale della Svizzera francese
[8] cosiddetto “Giovani di spirito